Il governatore d’Italia

La tornata elettorale ci consegna interessanti spunti di analisi che è utile approfondire per le evoluzioni del quadro politico nazionale e regionale.

I Governatori di Regione innanzitutto acquistano un ruolo sempre più rilevante nella politica nazionale. Uno degli effetti collaterali della gestione dell’emergenza Covid è rappresentato dalla crescita della loro popolarità e dei loro consensi. I governatori uscenti, in particolare, hanno riscosso nelle urne il successo del loro operato in prima persona. Possiamo osservare come nel panorama politico nazionale sembra stagliarsi con prepotenza un nuovo modello, quello del Governatore d’Italia (che succede al Sindaco d’Italia, in voga nel recente passato) che conta più dei partiti che lo sostengono e trae beneficio da un’operazione di personalizzazione del territorio, in cui la figura del Presidente combacia con l’immagine della Regione. Un elemento che è parte del lungo processo di presidenzializzazione della politica, in cui la persona assume una valenza sempre maggiore rispetto alle organizzazioni politiche collettive.

Inoltre possiamo notare una tendenziale sottovalutazione da parte dei sondaggi dell’area di governo, in particolare del Pd (anche grazie al ridimensionamento degli alleati minori come Italia Viva e Leu), che si conferma principale attore e perno della maggioranza che, grazie al risultato di regionali e referendum blinda la sua posizione, probabilmente fino al termine della legislatura. L’unica finestra che poteva potrà costituire un’insidia reale, prima dell’elezione del Presidente della Repubblica, era sarà quella della primavera 2021, quando i correttivi sui collegi per la riforma costituzionale saranno ultimati.

Ora l’esecutivo, che per il momento esclude qualsiasi “rimpastino”, è chiamato non solo al salto di qualità nelle politiche da mettere in campo, ma anche a definire una strategia di alleanze, che finora sui territorio si è rivelata nulla, in vista delle elezioni politiche.

A tal proposito si lavora, oltre che per modificare la base elettorale del Senato, anche all’approvazione del proporzionale, il cosiddetto Brescellum, che non imporrebbe la formazione di coalizioni predeterminate al momento del voto, ma certamente presupporrebbe la definizione di strategie chiare nella dialettica parlamentare che si svilupperà a urne chiuse.

Zingaretti, che durante la campagna elettorale era stato messo in discussione sia per la gestione sul referendum sia per la possibile disfatta alle regionali, in cui si ipotizzava un 5 a 1 (con la clamorosa sconfitta in Toscana), ne esce in modo brillante, rilanciando sia la sua azione di Segretario del Pd (ruolo per ora blindato anche in vista del prossimo congresso), sia nei confronti dell’esecutivo, verso il quale proverà a dettare l’agenda dei prossimi mesi, in particolare sui decreti sicurezza e Mes. La linea del leader Pd è stata premiata anche in relazione allo sforzo unitario compiuto che non sempre ha trovato terreno fertile tra gli alleati di governo, da una parte Italia Viva (il più grande sconfitto di questo passaggio elettorale e probabilmente dovrà ripensare la propria azione politica) dall’altra il M5S, i cui elettori sono stati convinti dai progetti locali e regionali, indipendentemente dalle decisioni dei vertici che, Liguria a parte, avevano declinato qualsiasi ipotesi di alleanza.

In tal senso il Movimento dovrà far chiarezza al suo interno, dove si registrano evidenti spaccature tra il fronte Di Maio e le anime movimentiste, che vanno ad aggiungersi alle tensioni già in essere tra la base, i parlamentari e la Casaleggio Associati, che il personale politico vorrebbe derubricare a mero fornitore di servizi per la piattaforma Rousseau. Ora il passaggio degli Stati Generali sarà cruciale per il futuro del Movimento che rischia una clamorosa scissione, considerando le divergenze in relazione alla linea politica e alla strategia di alleanze. Se da una parte, Di Maio rilancia la sua leadership, incassando la vittoria del Sì e declina le responsabilità della sconfitta nelle regionali,dall’altra Di Battista chiede discontinuità e Crimi, tra più fuochi, non chiude alla possibilità del Direttorio di transizione. E’ senz’altro paradossale che queste tensioni esplodano all’indomani di una vittoria storica come quella del taglio dei parlamentari, vero e proprio cavallo di battaglia dei pentastellati.

Nel centrodestra le acque non sono così tranquille dopo un pareggio che sa di sconfitta. Come in Emilia Romagna si è provato ad alzare l’asticella senza però raggiungere l’obiettivo. Tattiche inverse quelle di Salvini che mira all’en plein e di Zingaretti che punta alla drammatizzazione. Anche stavolta ha avuto ragione il Segretario Pd che in Puglia e in particolare in Toscana è riuscito a mobilitare l’elettorato incerto. Il centrodestra sconta una storica difficoltà nella selezione della classe dirigente e il mancato rinnovamento che ha pesato in Campania con Caldoro e in Puglia con Fitto (entrambi già governatori e già candidati perdenti in passato). Salvini non ha perso tempo nell’attaccare quelle candidature, ad appannaggio di Forza Italia (il primo) e di Fratelli d’Italia (il secondo). Ma chi appare più in difficoltà è proprio il leader del Carroccio che nel centrodestra è tallonato da Meloni, che lo sopravanza sia in Puglia sia in Campania. Mentre al nord viene incalzato da Zaia, che ottiene un risultato impressionante.

Indubbiamente il progetto di Lega Nazionale subisce un contraccolpo importante perché al Sud non sfonda e al Nord riacquista i connotati federalisti con il volto di Zaia e la regia di Giorgetti. La novità della fase politica è che Salvini ne esce indebolito anche sul fronte interno, e dovrà tener conto del mutamento della fase politica che richiede una revisione dell’agenda politica, le cui priorità sono state rivoluzionate dall’emergenza Covid.

Prima di analizzare singolarmente le Regioni in cui si è votato, riteniamo utile dare uno sguardo alla distribuzione dei voti sul territorio e ai flussi elettorali che hanno determinato questi risultati in riferimento alle Regionali del 2015 e alle Europee del 2019.

Oltre alla tenuta del centrosinistra al Sud (dove i candidati Presidente hanno avuto una straordinaria capacità di ampliare il tradizionale bacino elettorale), possiamo osservare che il Pd torna ad essere primo partito (come media nelle Regioni al voto), seguito dalla Lega e Fratelli d’Italia. Il M5S perde due terzi dei voti rispetto alle Europee 2019. Il Carroccio perde metà dei voti rispetto a un anno fa (secondo i dati forniti dall’Istituto Cattaneo), anche se c’è da considerare l’effetto delle liste dei Presidenti: Zaia ha sottratto molto alla Lega, anche se i suoi voti non possono essere considerati automaticamente voti al partito. Stesso discorso vale per De Luca ed Emiliano nei confronti del Pd. Sommando i voti al Presidente la situazione però è la medesima, con l’area di governo che sopravanza il centrodestra.

Dai flussi emerge che rispetto alle Europee solo il Pd (e i suoi candidati), ha avuto grande capacità di mobilitazione del suo elettorato. Cosa che è mancata al Movimento, con i suoi elettori che si sono orientati largamente per i candidati di centrosinistra o si sono rifugiati nell’astensione (come successo a buona parte dell’elettorato leghista, con eccezione del Veneto, dove Zaia ha pescato anche nel centrosinistra e tra i pentastellati).

Più che il voto disgiunto, invocato da più parti, a pesare è stato un noto pilastro delle elezioni dirette, ovvero il voto utile. In circostanze del genere, dove il voto risulta molto politicizzato e polarizzato, in presenza talvolta di una strumentale drammatizzazionedell’esito del voto, l’elettore tende sistematicamente a orientarsi per un candidato che ha chance di vittoria, riducendo la competizione a uno schema prevalentemente bipolare.

Indubbiamente questa tornata elettorale ha visto trionfare la figura dei Governatori, che hanno saputo capitalizzare il consenso accumulato nei mesi precedenti e ampliare considerevolmente il bacino elettorale dei partiti che li sostenevano. Oltre che il successo personale, potremmo spingerci a scorgere l’affermazione di un ruolo, quello del Presidente di Regione, che sostituisce il modello del Sindaco d’Italia. Una specie di di stanziamento istituzionale, frutto delle dinamiche sociali e politiche che abbiamo vissuto in questi mesi, che hanno rivoluzionato priorità e bisogni della cittadinanza. Non più il rapporto diretto col primo cittadino, ma la difesa del territorio, dei confini geografici e amministrativi e, soprattutto, la gestione dei servizi socio-sanitari, in cui i Governatori si sono impegnati in prima linea. Un successo personale che implica una proiezione nazionale (con la consapevolezza che sono legittimati e popolari grazie al territorio) ma anche una gestione forte, accentrata e personale nelle dinamiche regionali e locali.

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