Game Over

Quando scoppiò fragorosa questa crisi di governo, che sembra oggi volgere al termine, avevamo scritto che non vi era nessun tipo di certezza sulla via d’uscita. Ed effettivamente mai come in questa crisi tutto si è ribaltato e rimescolato in poche ore, in pochi passaggi, peraltro confusi, così come è confusa la popolazione, che non ha ancora capito le motivazioni che hanno portato alla rottura e i passaggi che hanno impedito la ricomposizione. Ma
si sa che in politica quel che è certo oggi, non lo è domani.

Il Presidente Mattarella dopo l’incarico esplorativo a Fico volta pagina e chiama al Colle Mario Draghi, l’ombra che aleggiava da tempo non solo su Conte ma sull’intera scena politica. Proviamo a riavvolgere il nastro e tirare le somme di questo caos istituzionale per vedere come ne escono i principali attori politici e quali prospettive abbiano ricavato da questo sorprendente cambio di schema.

Renzi è stato il principale protagonista di questa crisi, colui che ha acceso la miccia. Avevamo anticipato che non si sarebbe placato fino alla capitolazione di Conte. E così è stato. Per lui la rottura non aveva altro bersaglio. Impossibile che convivessero in un nuovo esecutivo, non tanto
per le difficoltà a ricucire un rapporto logoro, che poco ha a che fare con l’opportunità politica e i rapporti di forza, quanto piuttosto per la debolezza politica dell’uno (Renzi) nello schema dell’altro (Conte). Pertanto il leader di Italia Viva, da abile giocatore d’azzardo, ha fatto all-in nel tentativo di
far saltare il banco, provando in un solo colpo a mettere fuori gioco Conte, all’angolo il Pd e dividere fatalmente i 5Stelle. Sebbene in un primo momento la manovra di Renzi sembrava destinata allo schianto, tutto è
cambiato, anche grazie all’imprudenza e agli errori della controparte.
Infatti Conte, con altrettanto spirito pokeristico, si è gettato nell’impresa di cercare i famosi responsabili in Parlamento, senza avere la minima certezza di riuscire nell’intento e raccogliendo infatti ben poco, eccetto le critiche per un’operazione ad alto tasso di trasformismo. Il Pd, non avendo schemi alternativi all’asse con i 5 Stelle, il cui punto di caduta è sempre e solo stato Conte, si è trovato a dover difendere fino allo stremo il Presidente uscente. Questo arrocco è stato per molti commentatori incomprensibili, ma a ben vedere il Partito Democratico in questi mesi ha puntato tutto su questo asse, che rappresenta pure oggi (ma ancora per poco) l’unica
formula coalizionale per la prospettiva elettorale. Tuttavia il Pd avrebbe dovuto prendere iniziativa e costruire ponti tra le forze in campo, per scongiurare l’ipotesi di un governo senza Conte. Questo attivismo non c’è stato, così come non è mai stata un’opzione credibile il voto anticipato (e su
questo Renzi ha costruito la sua vittoria), nonostante quanto teorizzato da Bettini: “o Conte o voto”. Dello stesso avviso non era l’arbitro che prevedibilmente ha deciso di cambiare rotta nel momento in cui il piano A non era più percorribile. Ciò che appare singolare è che fino a ieri non vi
era altro nome fuorché Conte, mentre oggi il Pd si trova nella posizione di non potersi tirare indietro di fronte all’ipotesi Draghi, che tra i democratici ha sempre raccolto grandissimi apprezzamenti. Non a caso già sono usciti allo scoperto i primi fan dell’ex Governatore della Bce, generando nuove tensioni e palesando che forse dentro a quel partito non tutti erano così
appiattiti sulla linea di Bettini (altro cortocircuito provocato dall’operazione di Renzi).

Però Conte non è stato solamente il collante di questo schema nato dall’alleanza di governo giallo-rossa, ma è stato anche il potente mastice che ha saputo tenere insieme e guidare un partito come il M5S che era uscito dall’esperienza del governo con la Lega completamente sfilacciato, preda di
numerose anime che spingevano in direzioni opposte. Probabilmente l’epilogo di questa crisi e l’incarico a Draghi saranno il detonatore per una prossima spaccatura che farà chiarezza tra chi ritiene che quel soggetto debba giocare una partita autonoma, recuperando lo spirito delle origini
e l’area dialogante che rimarrà nel campo del centrosinistra, appoggiando il futuro governo.

Insomma si è capito col passare dei giorni che, più il Pd e 5Stelle si rendevano disponibili ad accogliere le sempre più invadenti richieste di Renzi, più il leader di Italia Viva alzava la posta. Finché non è saltato tutto, come voleva Renzi, il cui unico scopo era defenestrare Conte, senza precipitare ad elezioni. Ora in un governo istituzionale, promosso dal Presidente della Repubblica, possiamo scorgere sin da ora una nuova debolezza per dei partiti, sostanzialmente commissariati nella gestione di questa crisi che da sanitaria è diventata politica. E in questo contesto le forze politiche saranno pari e Renzi proverà in un nuovo schema a ritagliarsi un’agibilità e un ruolo che aveva smarrito, provando a riorganizzare il campo moderato, in cui graviteranno oltre a Forza Italia altri cespugli parlamentari. Perché gli effetti di questa operazione non ricadranno solamente sul centrosinistra ma, in misura non meno significativa, anche sul centrodestra, dapprima spiazzato dall’apertura
della crisi e d’ora in poi, probabilmente, diviso sul da farsi. Infatti mentre Fratelli d’Italia annuncia la scontata opposizione, la Lega al suo interno svilupperà un animato dibattito tra lo Stato maggiore del nord-est con Zaia in testa, da sempre più dialogante rispetto a Salvini che già ieri sera
chiedeva a gran voce il ritorno al voto. Invece Forza Italia già gravita nell’area di governo con il placet di Berlusconi. In un settimana anche il centrodestra è passato da una sbandieratissima compattezza sui prossimi passaggi a una divisione profonda che potrebbe segnare le alleanza
future. Anche se per la verità c’è un precedente illustre, con il Governo Monti, che vide Forza Italia sostenere il governo e gli alleati all’opposizione che si ricompattarono alle elezioni cogliendo un risultato che impedì la formazione di un governo di centrosinistra.


Difficile trarre un insegnamento da questa crisi bizzarra e sorprendente. Forse potremmo trarne un giudizio sulla qualità della classe politica attuale, ma sarebbe un esercizio di stile poco utile. Certamente possiamo osservare che le percentuali elettorali hanno un valore relativo nell’agone politico. Con un residuo consenso è possibile condizionare e ribaltare i rapporti di forza se la controparte te lo consente o se non è dotata delle medesime abilità. Potremmo addurre che riduce tutto alla bassa cucina ma la politica è fatta anche di questo. Probabilmente non dovrebbe limitarsi solo a questo, esclusivamente a tatticismi che mirano alla sopravvivenza. Dovrebbe nutrirsi di ideali e visione. Così non è e valutare il perché ci porterebbe fuori strada rispetto a un’analisi che ha l’obiettivo di fotografare il momento e interpretare i prossimi decisivi passaggi che ci porteranno almeno fino alla fine del semestre bianco, quando si capirà se il governo Draghi avrà la spinta per proseguire o se verranno sciolte le Camere. Quel giorno, lontano per una politica che divora famelicamente i suoi protagonisti, sarà ancora più lontano per Giuseppe Conte e i suoi
alleati, senza governo e senza lo slancio di una nuova forza politica.

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