Da una crisi si sa come si entra ma non si sa come si esce

Da una crisi si sa come si entra ma non si sa come si esce. Un mantra che si va ripetendo in queste ore, dagli studi televisivi ai corridoi del palazzo. Perché alla fine è successo veramente ciò che in molti scongiuravano o che non credevano possibile: Italia Viva ha ritirato la sua delegazione dal governo e ha ufficialmente aperto la seconda crisi di questa legislatura. Una legislatura tra le più travagliate della storia repubblicana, investita e tutt’ora alle prese con una pandemia globale da cui ancora purtroppo non riusciamo a liberarci.

E sebbene questa crisi che aleggiava nell’aria da settimana, venisse percepita come un piccolo incidente di percorso, una lieve frattura da ricomporre, data la difficile condizione del Paese, si è in realtà rivelata un ostacolo insormontabile alla prosecuzione dell’esecutivo. Perlomeno per il mandante, Matteo Renzi, che spalleggiato dalle Ministre Bonetti e Bellanova e dal Sottosegretario Scalfarotto, ha dapprima duramente attaccato l’ipotesi di governance del Recovery Plan, criticando poi nel merito alcune scelte sulla destinazione delle risorse e infine vincolato la permanenza di Italia Viva nel governo all’utilizzo dei tanto dibattuti fondi del Mes. La pregiudiziale vera però, col passare del tempo, è diventata la presenza del Presidente del Consiglio, accusato di accentrare eccessivamente le decisioni, in particolare sul Recovery Plan, e di abusare della decretazione d’urgenza, marginalizzando il Parlamento.

Conte in questi mesi ha senza dubbio accresciuto la sua popolarità e il suo raggio d’azione, la sua iniziativa politica, fuori e dentro i confini, si è ampliata significativamente. Ciò è stato possibile non solo grazie al suo consenso personale, di gran lunga superiore agli altri attori dello scenario politico, ma anche per una intima debolezza dei partiti che lo sostengono. Il M5S versa in una crisi profonda, il cui nodo potrà essere sciolto solamente in una resa dei conti fra le diverse, e oramai divaricate, anime che lo compongono. Lo scontro di potere, che si è allargato anche alla Casaleggio Associati, ha fotografato non solamente una carenza di leadership ma anche una visione del mondo e della politica estremamente eterogenea. Da un lato gli autonomisti, che rimpiangono la purezza degli albori, dall’altro novelli Richelieu che hanno definitivamente accantonato il Vaffa-Day e immaginano la costruzione di una variegata coalizione con il Pd come unico schema per tornare al governo. E per questo schema è imprescindibile la presenza dell’attuale Presidente Conte, a far da ponte tra pentastellati e democratici. E proprio il Presidente Conte in questi mesi ha sopperito alla mancanza di leadership del Movimento ponendosi sostanzialmente alla guida dei dialoganti, con l’abile supporto di Grillo.

Al contempo il Pd vive debolezze diverse ma uguali. Dilaniato in mille rivoli correntizi, in questo esecutivo ha ancor più annacquato la sua identità politica appoggiandosi, anch’egli per convenienza, sulla forza di Conte. Zingaretti è la fotografia di tale debolezza. Minoranza all’interno del partito, dove i gruppetti che lo sostenevano non hanno mai voluto contribuire alla costruzione di una corrente del Segretario per tenerlo sotto scacco, e al contempo minoranza nei gruppi parlamentari costruiti abilmente da Renzi nel 2018. Il margine d’azione per il Segretario si è via via ristretto, fino a relegarlo all’immobilismo, privo anche di una efficacia comunicativa che poteva scuotere la coalizione di governo e i suoi nel momento del bisogno. Va da sé che si sia appoggiato dapprima a Conte, pur lamentando l’alternarsi di decisionismo e melassa, e poi a Renzi che da tempo bramava per l’avvio di una crisi di governo. Perché ciò che sfugge a qualche attento osservatore è che, nonostante ora si lancino strali contro Italia Viva, qualche settimana fa fu lo stesso Zingaretti a dargli una sorta di benestare per stimolare e mettere in difficoltà Conte sulla partita del Recovery Plan. Le lungaggini e il decisionismo del Presidente del Consiglio venivano sofferte anche al Nazzareno che ha contribuito a poggiare la biglia sul piano inclinato. Quella biglia ha preso man mano velocità fino a risultare distruttiva.

Renzi, dal canto suo, probabilmente aveva in testa questo disegno da oramai molti mesi, da quando aveva colto che in quella coalizione il suo spazio politico era ridotto al lumicino. Se non altro per la difficoltà a giustificare l’alleanza con gli storici nemici del M5S. A maggior ragione per la debolezza, certificate alle elezioni regionali, della lista di Italia Viva che si trovava priva di alcuna prospettiva nel futuro schema elettorale. Renzi ha così fiutato l’insofferenza del Pd, cavalcandola e aprendo il fronte. Tuttavia, a dispetto delle percentuali, il Senatore di Rignano ha sfruttato la situazione in suo favore, trovando campo libero e margini di manovra. Indubbiamente Renzi si rivela nuovamente il vero king maker di questa legislatura in cui ha inizialmente impedito la saldatura tra Pd e 5Stelle, spingendo questi ultimi verso l’alleanza gialloverde, successivamente ha aperto alla possibilità della formazione del governo giallorosso, favorendo la permanenza di Conte a Palazzo Chigi. Da ultimo ha scatenato l’attuale crisi di governo, conscio che proprio Conte è il bersaglio da colpire per riaprire i giochi nel centro-sinistra e tra i moderati, al fine di riconquistare un ruolo e uno spazio nell’agone politico. Da abile giocatore di poker è andato fino in fondo, noncurante dei possibili sviluppi negativi. Perché oramai è chiaro che sarà quasi impossibile tenere in piedi sia Conte che Renzi. Uno dei due è destinato a saltare.

In questo scenario nulla è scontato. Innanzitutto Conte sa che né il Movimento né il Pd lo molleranno, perlomeno in una prima fase. Non hanno alternative nella prospettiva di una comune alleanza. E forse anche per questo Conte non ha fatto granché per evitare questo scivoloso approdo. Timide aperture che non sono bastate a placare un Renzi, già di per sé molto convinto a strappare. Tuttavia questa sicumera potrebbe ritorcersi contro il Presidente del Consiglio, visto che come abbiamo imparato, nessuno ha certezze su come se ne uscirà da questa crisi.

Ora sarà interessante comprendere se l’ipotesi elezioni, piuttosto infondata, svolgerà un ruolo di accelerazione nella ricomposizione. Se il Pd e il M5S rimarranno su Conte, a quel punto l’unica opzione può essere un gruppo di responsabili con il beneplacito di Berlusconi che potrebbe tacitamente favorire l’uscita di alcuni dei suoi che consentirebbero di fare a meno di Italia Viva nel Conte Ter. Se tale ipotesi non sarà percorribile a quel punto a saltare potrebbe essere proprio Conte, che rischierebbe di dilapidare un patrimonio politico da qui a fine legislatura, mentre un nuovo astro potrebbe sopperire alle debolezze della coalizione di governo.

Per ora, nessuno può sapere.

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