Come il virus cambia la politica

Andrea Mazzoni –  Public Affairs Manager Solving BFM

La storia ci insegna che dalle grandi crisi globali ne esce un mondo diverso. Cambieranno stili di vita, comportamenti individuali, modi di stare assieme. Cambierà la società, cambierà la politica e i suoi attori. Non solo i movimenti e i partiti, ma anche i leader. Probabilmente la trasformazione si produrrà dalla percezione collettiva e da ciò che le persone si aspettano da quegli attori. Stanno già cambiando i medium, i vettori, i trend, i temi. Così come mutano i bisogni e le priorità, muterà il modo di fare politica, di imporre la propria visione e la propria agenda. Proviamo ad analizzare le novità e gli elementi che stanno caratterizzando questa delicata fase politica, anche alla luce del fatto che il mondo che verrà dipenderà in larga parte dagli strumenti e dalle soluzioni che adotteremo in questi giorni.

In queste settimane assistiamo alla crescita di un sentimento nazionale direi patriottico, non a caso il termine patria torna prepotentemente di scena nella comunicazione politica. Riprendono quota le istituzioni nazionali, come testimoniato dalle rilevazioni di Demos & Pi, in particolare il Servizio Sanitario Nazionale (gradimento del 94%) e la Protezione Civile (88%). Seguono a ruota il Governo (82%) e le Regioni (77%). L’unica istituzione verso cui cresce la sfiducia è l’Unione Europea (35%). E’ paradossale il fatto che a trarre beneficio di questo ritrovato spirito unitario non siano i partiti a maggior connotazione nazionalistica. Certamente non scopriamo oggi le difficoltà delle forze sovraniste europee nel fare fronte comune, a maggior ragione in un momento storico in cui ciascun entità statuale è chiamata a rispondere all’emergenza e in cui si evidenziano i limiti di organismi sovranazionali, sprovvisti delle leve necessarie o dell’iniziativa politica per coordinare e gestire la crisi. E’ paradossale anche il fatto che più la crisi diviene globale e più le risposte sono di carattere nazionale. Fino a pochi giorni fa infatti si discuteva dei differenti approcci adottati pure all’interno di una medesima area geografica.

Il Paese risponde in maniera compatta e unitaria e, nonostante i rapporti di forza tra i partiti appaiano piuttosto congelati (salvo scostamenti lievi in favore dei partiti di maggioranza), a beneficiarne è indubbiamente la compagine di governo. Il 94% degli italiani, stando ai dati di Demos & Pi, vede di buon occhio le misure adottate dal governo. Scorporando in base alle intenzioni di voto, gli elettori meno benevoli con il governo sono quelli di Fratelli d’Italia, che per il 92% valutano positivamente i recenti provvedimenti.
A emergere positivamente in questa crisi è indubbiamente il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che vede accresciuto il suo gradimento di 19 punti da febbraio e raccoglie il consenso del 51% degli italiani (Ixè). La leadership di Conte unisce gli italiani e la sua figura spicca non solamente per il consenso popolare, ma anche per il suo ruolo crescente nel governo.

Dopo la prima settimana, in cui gli esponenti dell’esecutivo si sono mossi individualmente e le cui voci, talvolta dissonanti e contraddittorie, hanno contribuito ad alimentare incertezza e allarme sociale, Conte ha preso in pugno sia la comunicazione del governo (demandando al solo Borrelli il bollettino di giornata), sia dal punto di vista giuridico con l’adozione dei provvedimenti, tramite il discusso strumento del d.p.c.m. Lo stato di emergenza richiede sicuramente strumenti giuridici e di comunicazione in grado di fronteggiare la drammaticità della situazione, ma il Presidente Conte ha dato certamente prova di grande sicurezza e spregiudicatezza. 

Nella sfera comunicativa è stata adottata una strategia di eccezionale disintermediazione, pure dal livello istituzionale, con gli ultimi due d.p.c.m., comunicati tramite Facebook in tarda serata. Aldilà degli strali dei giornalisti e degli addetti ai lavori, che si sono sentiti privati della loro funzione, è qui importante approfondire il perché delle scelte. Dobbiamo sempre tenere a mente l’insegnamento di McLuhan: “Il mezzo è il messaggio”. 

Oltre ai motivi sanitari, che chiaramente sconsigliano assembramenti, quali conferenze stampa e interviste, la decisione di comunicare gli ultimi provvedimenti tramite social network risponde al bisogno di prossimità e vicinanza che 60 milioni di italiani in questo momento manifestano. Da parte del Presidente del Consiglio c’è la consapevolezza che una comunicazione snella, immediata, face to face, risponda non solo al sentiment della cittadinanza, ma serva anche a trasmettere un messaggio di unità e solidarietà in una fase che ci vede tutti coinvolti al medesimo livello. Motivo per cui Conte sceglie di stare al medesimo livello di comunicazione di chi l’ascolta.

Dal lato giuridico emergono interessanti aspetti. In primis la scelta della decretazione d’urgenza non era obbligata e rappresenta una chiara strategia del governo per rispondere in maniera agile al diffondersi del virus.

L’utilizzo del d.p.c.m., che ricordiamo trattarsi di atto amministrativo equiparabile ai decreti o regolamenti ministeriali, è fonte di rango secondario rispetto al tradizionale d.lgs o d.l. (a cui si ricorre in casi di necessità e urgenza), e rende operative le misure adottate, con un iter semplificato rispetto alle fonti legislative, saltando a piè pari Parlamento e Capo dello Stato. L’anomalia del reiterato utilizzo del d.p.c.m potrebbe avanzare profili di incostituzionalità, in particolare per questioni che limitano le libertà degli individui. Certamente questa rappresenta una scelta forte messa in campo dal governo e dal Presidente del Consiglio, che accentra su di sé poteri e scelte, concretizzando una vera e propria presidenzializzazione dell’esecutivo. Non si tratta di un sostanziale mutamento nella forma di governo, che dovrebbe prevedere un cambio della Costituzione, ma nei fatti, come mai prima nella storia repubblicana, il Presidente del Consiglio si configura come un primus super pares rispetto ai componenti dell’esecutivo. A rendere ancor più evidente questa torsione ci sono le continue polemiche tra i diversi livelli dello Stato, con le Regioni sotto l’occhio del ciclone (mentre torna d’attualità il riaccentramento di materia fondamentali come la sanità), che potrebbero veder limitati i propri poteri.

Seppur permanga un residuo zoccolo duro nel Paese (in cerca di rappresentanza) che critica apertamente le misure adottate, sollevando questioni economiche tutt’altro che marginali, l’opposizione sembra vedersi restringere i propri margini d’azione. Le dichiarazioni dei principali leader, come Salvini e Meloni, tradiscono un atteggiamento ondivago, quasi in cerca di un riposizionamento tattico. Il leader della Lega alterna messaggi distensivi all’insegna di collaborazione a proclami di misure shock, mentre Fratelli d’Italia lascia filtrare la possibilità di un coinvolgimento in un ipotetico esecutivo di unità nazionale. Certamente se, come pare, tutti i partiti collaboreranno nel prossimo decreto economico di aprile, potrebbero aprirsi scenari inediti. La difficoltà dell’opposizione è acuita dal fatto che l’agenda è dettata esclusivamente dai provvedimenti governativi, dalle restrizioni messe in campo e dalle misure economiche introdotte dal Cura Italia. Nell’impossibilità di tornare a dettare l’agenda risiede il disorientamento di partiti come la Lega che hanno costruito la propria fortuna elettorale sulla capacità di mobilitazione contro il governo e sulla costruzione di una propria funzione e di una propria identità, che all’interno di questa crisi non sono riusciti a trovare.

Indubbiamente l’emergenza sta rapidamente mutando le forze in campo e gli scenari, così come sta riportando in auge alcune questioni che per anni sono state tenute ai margini. Basti pensare al dibattito molto caldo tra sanità pubblica e privata, al tema degli investimenti pubblici nel sociale e nei settori produttivi, al rapporto tra Governo, corpi intermedi e organizzazioni datoriali, come al sopracitato rapporto tra Stato e Regioni, oppure alla forma di governo della Repubblica. 

Indubbiamente ciò che sta prepotentemente tornando di moda è la competenza. Le persone si fidano dell’autorevolezza e della conoscenza, in primis di esponenti della classe medica, del mondo scientifico, della tecnica. Per anni è stato svilito il concetto di competenza, a discapito di nuovismo e improvvisazione, teorizzando che il mio parere valesse come quello di un Professore, che ha impegnato tutta la sua vita nello studio. D’ora in poi non sarà più così.

Il virus ha già cambiato la politica e il suo racconto. Sta cambiando la comunicazione degli attori in campo e delle istituzioni. Cambierà le priorità e i bisogni. Cambierà molto perché a cambiare sarà la società, saremo noi.

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