GLI STATI GENERICI

Una riflessione di Andrea Mazzoni

Gli Stati Generali furono convocati per la prima volta da Filippo IV nel 1302. Riunivano i tre ceti sociali del paese (clero, aristocrazia e terzo stato) divisi in tre camere (ogni consesso disponeva di un voto) e venivano consultati quando il sovrano aveva la necessità di imporre tasse e tributi al popolo. Vennero convocati più volte fino al 1789 quando il terzo Stato chiese l’istituzione del voto per testa e la riunione in un’unica camera. Fu accolta solo la seconda richiesta, mantenendo sostanzialmente inalterati i rapporti di forza e il terzo stato si proclamò unico e vero rappresentante del popolo francese, assumendo il nome di Assemblea nazionale e ponendo fine all’esperienza degli Stati Generali.

A dispetto dell’esperienza poco fortunata di quel sistema sentiamo spesso ricorrere il termine “Stati Generali” anche se spesso ci sfugge il nesso o il significato che si cela dietro la formula. Si capisce che oramai qualsiasi locuzione è stata passata in rassegna ed è spesso necessario uno sforzo di fantasia per individuare nuove terminologie. Ad ogni modo in questa occasione la scelta è parsa più bizzarra del solito, nonostante l’indiscutibile successo in termini di comunicazione e risonanza. Tuttavia non è chiaro quale sia l’obiettivo di tale consesso, a chi si voglia parlare e soprattutto cosa si voglia dire. Una fitta coltre di nebbia ammanta la scena.

Non ci sfugge che da più parti e anche al suo interno l’esecutivo sia chiamato a un salto di qualità dopo l’emergenza. Indubbiamente il giudizio del paese sulla gestione della crisi rimane positivo, ma ci è altrettanto chiaro che i prossimi mesi saranno quelli decisivi per il nostro futuro, per le sorti della nostra economia e del nostro sistema-paese. Il governo ha finora mostrato solo l’intenzione di scelte coraggiose, ma è tutt’ora privo di una visione di paese, in riferimento al ruolo del pubblico in economia, agli asset strategici del paese, alle priorità da individuare. In tal senso il dossier Colao ha mostrato la medesima vaghezza e l’imbarazzata accoglienza che ha ricevuto testimonia da un lato la volontà di non demandare le scelte ai tecnici e dall’altro tradisce un approccio piuttosto ondivago e incerto, a tal punto da ignorare i frutti di una task-force fortemente voluta. L’auspicio è, sempre a dispetto del nome, che possa essere l’occasione per fare quadrato, identificare una/due idee forza su cui costruire il rilancio del paese e trovare il coraggio per adottare misure e soluzioni in grado di traguardare il futuro e gettare le basi per una nuova fase di crescita del paese. Il momento è senz’altro drammatico ma per anni abbiamo preferito il tutti maledetti e subito piuttosto che investire in ricerca, scuola, sanità. Forse stavolta ci salveremo guardando al futuro. In barba a Keynes che diceva “Nel lungo periodo siamo tutti morti”. In questo caso rischiamo di esserlo anche nel breve.

Se invece dovesse essere un ritiro spirituale alla “Todo modo” o una passerella per il Presidente del Consiglio (che si conferma più scaltro e capace dei suoi alleati), sarebbe un’altra occasione sprecata, forse l’ultima per mettere in atto un disegno di paese, prima di cedere il passo a un’opposizione litigiosa ma che sta ritrovando slancio. Certamente sarà l’occasione per affrontare alcuni nodi politici, stemperare o alimentare tensioni che “il Partito Con-te” ha creato all’interno della maggioranza. Il Presidente del Consiglio ha dato prova di grande spregiudicatezza ma è tutt’altro che ingenuo e con questa iniziativa sta fagocitando ancor di più i suoi alleati, costretti a parteciparvi e ad animare il dibattito. Sa che gode di una posizione di forza, raramente rende conto delle sue azioni e in questa fase non può essere messo in discussione. Addirittura si sta facendo precursore di un nuovo modello: dopo il partito azienda e il partito del capo, la persona come soggetto politico autonomo, che grazie al suo consenso personale fa da mastice ad una maggioranza ibrida, che potrebbe liquefarsi tragicamente o essere un’alleanza organica nel prossimo futuro. Di certo non sarà lui a sacrificarsi con il suo partito personale per agevolare il matrimonio. I partiti che lo appoggiano ne sono consapevoli, ma dilaniati al loro interno tra chi vede in questa ipotesi l’unica possibilità per rimanere al governo del paese e chi non vuole rinunciare alla propria identità e teme l’emorragia di voti che causerebbe il Partito del Presidente.

Ad ogni modo, tornando (o solo apparentemente) all’evento tanto atteso, Sun Tzu scrisse che la tattica senza la strategia è la strada più lunga per arrivare alla sconfitta. La politica italiana soffre di un esasperante tatticismo da troppi anni e siccome in questo ambito la forma è sostanza, ne sono conseguite scelte al ribasso, votate al tornaconto elettorale, vittime di un eterno presente che divora sempre con più voracità attori politici, inghiottiti dal circo mediatico e logorati dal potere. Il virus ha stravolto i nostri stili di vita, le nostre priorità e le nostre interazioni (familiari e lavorative). Cambierà necessariamente anche la politica e i suoi protagonisti. Stanno già cambiando le lenti dell’osservazione, il tempo e la consapevolezza trasformeranno anche riti e approcci superati. Auspichiamo che tale cambiamento possa prendere le mosse da una rinnovata lungimiranza e responsabilità nell’idea di paese che si mette in campo, per un futuro all’insegna del progresso, della crescita, dell’innovazione, delle pari opportunità e della sostenibilità ambientale. Allora sì che come 230 anni fa potrebbe essere la fine di un mondo e l’inizio di un altro, nuovo e diverso.

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