Rilancio. Prove di futuro?

Rilancio. E’ questo il trend topic di questi giorni. Una parola – tra le più pronunciate – che ha dato il nome al DL che ieri sera, dopo una lunga attesa, è stato licenziato dal CDM e annunciato dal Premier Giuseppe Conte, durante una diretta, insieme ai suoi Ministri, in cui sono stati illustrati tutti i bonus e gli aiuti approvati per il mese di maggio.

Senza entrare nel merito delle singole norme, che – senza alcun dubbio – vedono un impegno massiccio di risorse (55 miliardi di euro) per fronteggiare l’emergenza, vorrei tornare alla parola rilancio che, nel linguaggio economico e politico, corrisponde alla riproposizione di linee programmatiche e di iniziative accompagnate da modifiche e miglioramenti intesi a rivalutarle e ad assicurarne l’attuazione.

Ma, nella scelta del termine è possibile scorgere anche altro. La pandemia ha rappresentato per tutti noi un profondo shock, ma è stato al contempo un profondo acceleratore di cambiamenti. Ci sarà un prima e un dopo Coronavirus. Ed è sul dopo che si fonda – o meglio dire, si dovrebbe fondare – il rilancio socio economico del nostro Paese, in termini occupazionali, in termini di qualità del lavoro, di investimenti pubblici, di processi di digitalizzazione e di modernizzazione del tessuto produttivo.

Il tema del lavoro è stato senz’altro al centro delle nostre discussione e riflessioni, pubbliche e private. Quale futuro per il lavoro? Senz’altro non quello di ieri e nemmeno di oggi. Nuove modalità organizzative, maggiormente ibride, nuove competenze e nuove professionalità saranno al centro di una profonda trasformazione che vede il digitale e le nuove tecnologie, asset strategici per il rilancio dell’Italia. Questa crisi ha accelerato quel processo di smart working che era sulla bocca di tutti. Tanti ne parlavano, pochi lo praticavano e incentivavano. Ora è realtà, un processo irreversibile che ne innescherà altri. Non è semplicemente la sostituzione delle riunioni con le call. Prevedere da casa l’evoluzione della domanda o semplicemente buttarsi a capofitto nell’e-commerce (cosa che peraltro apporterà un vantaggio competitivo determinante domani). Infatti in questi cambiamenti che incidono nel nostro quotidiano possiamo scorgere l’avvento di un rivoluzione dalla portata ben più radicale, di là da venire. Mi riferisco all’ulteriore scatto cui sono attesi i processi di automazione, al compimento del progresso che con fatica ha già posto le sue basi, incontrando non poche resistenze, comuni a chi ha interessi per giunta contrapposti.  Per lungo tempo ciò ha rappresentato un tabù per lavoratori, imprenditori, classe politica e sindacale. I progressi tecnologici in un mondo iperconnesso ci permettono il controllo da remoto delle più sofisticate apparecchiature. Lo scarto produttivo che il compimento di questo processo può generare è illimitato. La produttività è solo la punta della rivoluzione tecnologica. Ciò che non vediamo sono l’aumento degli utili, maggiore redistribuzione e riduzione dell’orario di lavoro. Ciò significa luoghi di lavoro moderni, sicuri, meno affollati, con un’alta richiesta di specializzazione. Chiaramente questi frutti presuppongono una gestione virtuosa e lungimirante della fase. A patto che la crisi voglia veramente significare opportunità, come ci ripetono incessantemente tanti stakeholders e addetti ai lavori. Al contempo questo cambia la prospettiva tra tempo di lavoro e tempo libero, che in questi ultimi anni si sono drammaticamente sovrapposti. E una scorretta interpretazione dello smart working potrebbe indurre addirittura a confonderle totalmente. Tale processo deve infatti accompagnarsi a una rimodulazione delle prospettive del lavoratore che potrebbe dedicare parte del suo tempo “liberato” alla specializzazione, al rinnovo delle proprie competenze e soft skills, alla partecipazione a occasioni di studio e confronto che in questi mesi proliferano nella rete. Questo può innescare percorsi di professionalizzazione forgiando lavoratori smart e cittadini consapevoli, ma anche occasioni di autoimprenditorialità offerte dalla rete (basti pensare a quanti canali i social mettono a disposizione in questo senso). Il mondo del lavoro è chiamato a una decisiva evoluzione in termini di mindset, skills, leadership. Solo così potrà aver luogo l’innovazione. Come recita il motto di una delle più grandi aziende del mondo: “Companies don’t change industry. People do“. E allora la parola rilancio assume davvero un valore positivo perché ci pone dinnanzi alla sfida di ricostruire e ridisegnare il nostro Paese con una visione strategica e lungimirante. Per fare ciò è necessario un salto di qualità nei processi globali, da parte delle Istituzioni e da parte di tutti noi che abbiamo questo arduo compito e dobbiamo dimostrarci all’altezza. Rimbocchiamoci le maniche.

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