Leader in tempo di guerra

Non è affatto facile essere un buon leader in tempo di pace. E’ ancor più difficile esserlo in tempo di guerra. Questo riguarda sia il settore pubblico sia quello privato. E chi avrà il merito e la capacità di distinguersi come una personalità autorevole, che con le sue scelte si è dimostrato in grado di trainare il proprio paese, la propria regione, la propria impresa, la propria vita, al di fuori di questa drammatica crisi, avrà il diritto non solo di dettare le regole, di contribuire a ridisegnare il mondo di domani, ma anche di essere ricordato dai posteri come leader della storia.

Max Weber, parlando del concetto di capo carismatico, arrivò a definire il leader come quella figura che aspira a mettere le mani negli ingranaggi della storia. Quel leader rappresenta il senso della storia del suo popolo.

Ora discutere del fatto che nessuno, o quasi, dei potenti del mondo negli ultimi decenni possa avvicinarsi agli archetipi tratteggiati da Weber non ci porterebbe lontano nel ragionamento. Ciò che invece mi preme analizzare è che la leadership non è qualcosa di precostituito. O meglio, vi sono leader che si distinguono in tempi di pace e altri, che in condizioni di normalità non hanno presentato visioni particolarmente illuminate, mentre nella crisi riescono a tirare fuori risorse e capacità fuori dal comune che finiscono per ridefinirne la statura.

Mi torna alla mente la parabola di Winston Churchill, che fino al 1940 era ritenuto una personalità non particolarmente adeguata alla gestione della cosa pubblica, a causa di scelte non propriamente azzeccate. Infatti la sua nomina a Prime Minister avvenne nell’indifferenza generale. Sappiamo bene quanto l’operato di quest’ultimo sia stato decisivo nel conflitto mondiale, nel futuro delle democrazie occidentali e il giudizio che la storia ne conserva.

In queste settimane i principali esponenti politici hanno presentato un ventaglio di innumerevoli impostazioni nella comunicazione politica e istituzionale, ciascuna figlia degli stili, delle convinzioni e degli obiettivi che si sono intesi perseguire. Alcuni hanno espresso tratti innovativi e originali, altri hanno presentato coerentemente il loro personale approccio.

Donald Trump ha fedelmente riproposto l’immagine di uomo forte, di comandante in capo del mondo, propria dell’unilateralismo repubblicano. In un primo momento ha teso a minimizzare la vicenda, salvo poi ravvedersi parzialmente e lasciando le maggiori responsabilità nella gestione al governatore dello Stato e al Sindaco di New York, dove il contagio sta crescendo enormemente.

Boris Johnson ha avuto senz’altro un ruolo di primo piano in questa crisi. Innanzitutto ha proposto una visione alternativa nel contrasto al virus, promuovendo la teoria dell’immunità di gregge. Alla base di questa scelta c’erano evidentemente ragioni economiche, sacrificando buona parte di popolazione anziana e creando le condizioni per una ripartenza più agile, senza fermare il proprio paese. Le posizioni di Boris Johnson si sono, col passar del tempo, ammorbidite e il Primo Ministro ha parzialmente aggiustato il tiro dal momento che ha dovuto fare i conti con la rapidità di diffusione del virus e con i conseguenti rischi di collasso del sistema sanitario. Certamente il leader del Partito Conservatore è rimasto coerente con la propria visione isolazionistica che vuole la Gran Bretagna come universo a sé, totalmente indipendente dal vecchio Continente.

Tra chi ha sottovalutato la portata di tale crisi c’è sicuramente Bolsonaro, Presidente del Brasile, che a più riprese ha paragonato il virus a un raffreddore. La stampa internazionale non gli ha perdonato il parallelismo e ha finito col crocifiggerlo, elevando a simbolo dell’inadeguatezza nella gestione dell’emergenza. Tuttavia possiamo scorgere una comune sottovalutazione delle conseguenze da parte della destra mondiale, probabilmente spinta dalle preoccupazioni relative ai pesanti effetti economici di questa crisi. Coltivando la speranza di una rapida soluzione dell’emergenza hanno scelto di mandare messaggi rassicuranti che, malauguratamente, si sono anche convertiti in scelte blande nel contenimento del contagio. Per alcuni di essi dichiarazioni del genere potrebbero rappresentare un infelice testamento politico.

Macron, dal canto suo, ha interpretato la figura dell’uomo forte, come si conviene al Presidente dei francesi in questi casi. Tuttavia è rimasto vittima di alcune contraddizioni come alcune foto che lo ritraevano in ambienti mondani e affollati pochi giorni prima di adottare misure restrittive, che in molti hanno giudicato tardive.

Merkel ha optato in questa fase per la solita comunicazione sobria, limitando al minimo gli interventi, seppur in Germania esista un ampio dibattito sulle questioni legate al Mes e all’emissione dei Coronabond, mentre aumentano gli Stati membri in pressing sull’esecutivo tedesco per l’adozione di misure shock. Indubbiamente Merkel sembra aver smarrito lo smalto dei tempi migliori, priva della sua solita capacità di mediazione e di imporre la propria visione nell’agone politico europeo.

Del nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte abbiamo già detto (link all’articolo http://www.solvingbfm.eu/2020/03/come-il-virus-cambia-la-politica/?fbclid=IwAR15FjPqvZVKm98owBj95eZnX78JBvxuZV_gV9EcbnhH4uwwLYmQHDa64RU), tuttavia è qui importante rimarcare alcuni aspetti. La strategia adottata dal nostro Presidente ha certamente accentrato attenzioni e responsabilità sulla sua figura, arrivando a dare l’impressione di un vero e proprio one man show, dalle dirette Facebook a tarda sera, all’anticipazione di decreti emanati solo giorni dopo. La comunicazione da parte del Governo ha avuto la sua sola voce e i toni pacati e tranquilli hanno rassicurato gli italiani in una fase inedita e drammatica. L’iniziativa di Conte non è rimasta confinata al solo contesto nazionale, come possiamo notare non solamente dal confronto dialettico con la Commissione europea, ma anche da una presenza costante nelle televisioni di paesi esteri, come Germania e Spagna. Conte, andando a colmare un vuoto politico lasciato dagli altri leader europei, è megafono di una coalizione di Stati europei che chiedono a gran voce un cambio di rotta nelle politiche economiche europee.

Infine è doveroso citare il Presidente della Repubblica Popolare cinese Xi Jinping reo, secondo alcuni, di aver “nascosto” in un primo momento l’epidemia. La Cina ha dato prova di grandissima reattività e potenza, costruendo ospedali in pochi giorni e rispettando regole ferree. Chiaramente chiudere una regione come l’Hubei, che rappresenta solo una piccola parte della popolazione cinese, non è come chiudere un’intera nazione, così come non sono paragonabili le misure adottate rispetto a quelle occidentali per le differenze culturali e politiche. Ciò che però ha fatto la differenza, scavando un solco rispetto alla gestione della crisi sul versante atlantico, è lo spirito solidaristico e di collaborazione che la Cina ha offerto al resto del mondo.

Chi sta giocando un ruolo importante, senza ricoprire alcuna carica è l’ex Presidente della Bce Mario Draghi. La scorsa settimana un suo articolo sul Financial Times ha avuto grande eco. Già di per sè, il fatto che parli e che intervenga nel dibattito pubblico rappresenta un messaggio inequivocabile. La stampa nostrana l’ha ritenuta un’occasione utile per tirarlo nuovamente per la giacchetta o opponendolo al Presidente Conte che aveva ingaggiato una battaglia sui Coronabond con la Commissione Europea. Ciò che gli addetti ai lavori non hanno colto è che l’articolo di Draghi celava una critica feroce all’apparato europeo che viene esortato a un salto di qualità perché “sarà inevitabile la convivenza con livelli crescenti di debito pubblico” e con l’acquisizione di esso da parte della Banca Centrale Europea per immettere liquidità nell’economia reale.

E’ importante constatare come alcune personalità politiche abbiano optato per allargare, coinvolgere, mentre altri hanno convenuto accentrare responsabilità e poteri: emblematico in tal senso è il colpo di mano di Orban. Nel loro piccolo anche Presidenti di Regione e Sindaci si sono messi in luce per un acceso protagonismo, sia nell’emanare ordinanze, sia per far rispettare quelle misure: incarnano lo spirito di questo tempo e le ansie diffuse della cittadinanze che li vuole sceriffi più che leader. Il bisogno di sicurezza a cui cercano di rispondere non si placherà con pittoreschi o intimidatori interventi video, anzi tali atteggiamenti rischiano proprio di accrescere quelle ansie e quei bisogni e finiscono per generare sentimenti di tensione sociale tra cittadini. Certamente sta tornando in auge con prepotenza l’annosa diatriba tra sostenitori dell’uomo forte e difensori delle democrazie liberali, il cui futuro è tutt’altro che scontato. Se da un lato le libertà individuali e la separazione dei poteri ci appaiono ancora come principi indiscutibili, dall’altro osserviamo una crescente schiera di coloro che ritengono prioritario fornire risposte rapide, comprimendo lo spazio del dibattito pubblico, e misure chiare, da far rispettare anche con la forza, se necessario. Ciò sembra opporsi allo sviluppo che la leadership ha avuto in questi ultimi anni, che è sempre più leadership diffusa, snellendo la catena di comando, delegando, creando responsabilità e capacità di gestione, anche dei momenti di crisi. Questo ce lo insegna la sociologia dei fenomeni politici, ma anche dell’organizzazione, sociale e aziendale. In particolare vediamo che sempre più realtà imprenditoriali creano le condizioni per una crescita di classi dirigenti in grado di suddividere responsabilità e deleghe, con meccanismi di controllo e spazio di iniziativa individuale, in modo tale da costruire leadership diffuse che guidano e non comandano la propria organizzazione.

Di certo questo momento storico non segnerà soltanto le nostre vite e il nostro futuro, ma cambierà per sempre il modo di interpretare e percepire la leadership, in ogni campo. Responsabilità, senso delle istituzioni, competenza, stile di comunicazione, credibilità, carisma, saranno attributi ineludibili per qualsiasi leadership, recuperando, forse, qualcosa di Weber.

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