La comunicazione ai tempi del #Covid19: la gestione della crisi

L’emergenza coronavirus si sta rivelando un punto di svolta per molti aspetti della vita quotidiana. Al di là dei cambiamenti resi necessari per via delle ordinanze finalizzate a contenere e prevenire la diffusione del virus, ad essere rivalutato è il valore dell’informazione proveniente da fonti ufficiali e la comunicazione in tempo di crisi.

Nella comunicazione di ogni fenomeno di crisi, specialmente nel settore sanitario, bisogna tener conto della preoccupazione generale rispetto allo stato di salute di ognuno. Ciò ingenera un alto livello di preoccupazione che può sfociare in psicosi e allarme sociale. La corsa ai supermercati nelle zone ad alto contagio (e non solo)  ne sono la riprova, nonché l’immagine più forte, in grado, da sola, di generare altro panico tra la cittadinanza.

In questo entra in gioco l’importanza della comunicazione come leva di gestione dell’emergenza attraverso la corretta informazione della cittadinanza. Il Corecom Lombardo lo ha detto chiaramente: il rischio maggiore è rappresentato dall’ “infodemia” da disinformazione. E i social network con il loro costante aggiornamento svolgono un ruolo cruciale.

Il cittadino ha bisogno di certezze e le cerca principalmente sui nuovi media, a partire dai canali di comunicazione ufficiali. Chi ha costruito una buona reputazione diventa in questi casi punto di riferimento ed è soggetto a maggiori responsabilità.

Indubbiamente sono stati compiuti alcuni passi falsi da parte di Istituzioni, partiti, esperti, dottori, fino addirittura al mondo del calcio, che ha catalizzato tifosi e addetti ai lavori, tra bias comunicativi e imbarazzanti gazzarre.

In principio volevamo gridare al mondo quanto eravamo bravi a contrastare il virus, poi con l’emersione del primo focolaio lombardo siamo passati dal chiudere interi paesi, scuole e attività produttive. Il dietrofront pochi giorni dopo, teso a tranquillizzare l’opinione pubblica fuori e dentro  confini, per informarci che il contagio italiano derivava dai troppi tamponi effettuati. In queste ore pare si stia decidendo circa la chiusura di scuole e università fino al 15 marzo in tutto il paese, nel tentativo di fare un salto di qualità nel contenimento del contagio. Ciò viene accompagnato da un’ulteriore drammatizzazione della vicenda tra perentori vademecum,  tensioni politiche e fughe di notizie.

La gestione dell’informazione da parte del governo non ha avuto una linearità e la comunicazione stop and go ha finito per polarizzare l’opinione pubblica tra allarmismo e superficialità. Chiaramente l’incertezza è un fattore in campo non trascurabile, che fa parte intrinsecamente di fenomeni di questo tipo e con cui dobbiamo convivere, provando a limitarla.

Probabilmente la mancanza di una regia unica, di un piano di comunicazione in tempo di crisi e l’impreparazione (di governanti e governati) ad affrontare situazioni emergenziali di questo tipo ha fatto il resto, provocando danni ancor peggiori. Di conseguenza è scattato l’effetto scheggia impazzita, con giornalisti pronti a sfruttare la notiziabilità dell’emergenza, esperti virologi che si sfidano in contest medici sui social media, governatori regionali in gara per emettere l’ordinanza più restrittiva.

L’apice di questa escalation è rappresentata dall’immagine del Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che indossa la mascherina in diretta. Quell’immagine ha fatto il giro del mondo ed è stata oggetto di scontro fra chi lo erge a esempio di trasparenza e chi lo stigmatizza per l’eccessivo allarme che ha suscitato. Certamente ha avuto un impatto fortissimo non solo sui cittadini lombardi, contraddicendo la comunicazione asettica e istituzionale che Borrelli, capo della Protezione civile, aveva impostato. L’approccio di quest’ultimo si è dimostrato il più lineare e teso a smorzare l’emotività e l’irrazionalità di cui è preda il paese. Il limite casomai è rappresentato dal fatto che la Protezione civile per sua natura è un’istituzione che comunica una situazione di emergenza. Appaltargli l’intera comunicazione del governo, circa contagi e decessi, genera automaticamente un bias cognitivo.

Ad aggravare la situazione, le dispute scientifiche della classe medica che si divide tra influenzisti e pandemisti, con relative schiere al seguito. Proprio coloro che dovrebbero rappresentare la scienza, la parte razionale ed oggettiva della sfera comunicativa, affondano in lotte fratricide in cui la medicina diviene aspetto marginale, col solo scopo di affermare il proprio ego.

Può piacere o meno, ma nell’epoca della disintermediazione, dell’immediatezza, della post-verità, tutto ruota intorno alla comunicazione e alla rappresentazione che diamo dei fenomeni e delle risposte che siamo in grado di fornire. I danni sull’economia reale sono già evidenti e il mondo della finanza è in attesa di sfruttare la tempesta perfetta. Aldilà delle misure che verranno messe in campo non è troppo tardi per cambiare rotta e sancire un patto tra istituzioni, organi di informazione e cittadinanza per una comunicazione lineare, vera, mirata a non lasciare spazio all’emotività e all’iniziativa del singolo per riaggregare il sistema paese e arginare questa crisi. L’emergenza va gestita e affrontata, con coraggio, serietà e consapevolezza. Se lasciamo che sia lei a governarci sarà ancora l’irrazionalità e l’istinto a segnare l’informazione e la comunicazione interpersonale

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