Verso la rete unica in Italia. Scontro nel Governo a suon di emendamenti.

“Vola la banda ultralarga in Italia”. E’ quanto si legge nell’Osservatorio sulle Comunicazioni, pubblicato da AgCom, con i dati aggiornati al terzo trimestre del 2018. Uno studio che fotografa lo stato della rete italiana, evidenziando il processo di trasformazione digitale del Paese.

Un mutamento profondo che ha portato le persone a disporre di una maggiore velocità di connessione. Un avanzamento con linee “ultrabroadband” salite a quota 6,4 milioni – accessi definiti non “in fibra” nella versione ortodossa del termine (non si può parlare di fibra qualora arrivi soltanto fino a nodi intermedi, come l’armadio di strada (FTTC, Fiber To The Cabinet) o la stazione radio base (FWA, Fixed Wireless Access). Ma è chiaramente un boom di tecnologie di rete fissa qualitativamente migliori ed in particolare della tecnologia FTTC (+5 milioni di unità), della tecnologia FTTH (+400 mila) e della tecnologia FWA (+ 650 mila).

Spingere gli investimenti nella banda ultralarga aumentando i poteri dell’AgCom nel definire le regole e soprattutto le misure – scorporo della rete incluso – in grado di agevolare i lavori e perseguire gli obiettivi dell’Agenda digitale europea e anche della Strategia Nazionale per la Banda Ultralarga, il piano Bul, che punta a garantire i 100 Mbps ad almeno l’85% della popolazione italiana ed i 30 Mbps a tutti gli italiani nonché la connettività a 100 Mbps alle sedi della PA, ai poli industriali, delle principali località turistiche e degli snodi logistici.

Un chiaro passo verso la rete unica, pubblica, figlia dell’unione tra l’infrastruttura di TIM e di Open Fiber. Era questo l’accordo tra i due leader di maggioranza, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, messo nero su bianco nell’emendamento al Dl Fiscale, presentato da Emiliano Fenu, senatore del M5S..

A cambiare le regole del gioco per la creazione della grande rete pubblica nazionale è il subemendamento, presentato in Commissione Finanze del Senato, a firma del Capogruppo leghista Massimiliano Romeo, che introduce dei distinguo su tempi e modalità di attuazione del progetto di scorporo della rete Tim e successiva eventuale fusione con Open Fiber. Un chiaro intervento “a gamba tesa” agli alleati di governo.

Tempi certi, nessun rallentamento Ftth, nessun conflitto d’interessi, nessun aumento in bolletta e controllo a terzi indipendente. La proposta, inoltre, non richiama la clausola occupazionale, riferimento che trovava spazio nell’emendamento pentastellato per garantire l’occupazione nella società della rete, e si precisa che non tutta la rete Tim, solo le migliori tecnologie disponibili dovrebbero confluire nella nuova società.

Queste le condizioni del Carroccio che rischiano di rallentare un processo che necessita di un fronte politico unitario per evitare ulteriori rallentamenti. Il rischio è lo stallo, tanto più che già al suo interno gli azionisti della compagnia Tim, Vivendi ed Elliott, sono ai ferri corti da tempo.

A dire la sua anche Enel, che non ha alcuna intenzione di rinunciare al 50% che detiene in Open Fiber con l’altro 50% in capo a Cdp. E’ Francesco Starace, amministratore delegato di Enel che presentando il nuovo piano industriale ha ribadito la missione di Open Fiber: “Cablare tutto il paese a costi competitivi e velocemente, ci piace, di altre cose non sappiamo nulla”, non escludendo quindi a priori l’ipotesi di fusione in vista della creazione di una società unica della rete per evitare duplicazioni di investimenti.

 

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